Secondo i dati del sondaggio recentemente riportato da TechCrunch sul ruolo del re-commerce, circa l’82% dei consumatori a livello globale vende e/o acquista prodotti second-hand.
I fattori che spingono i consumatori a optare per il re-commerce sono legati principalmente alla “caccia all’affare”, che consente loro di risparmiare attraverso l’acquisto di prodotti di marca a un prezzo accessibile e/o di guadagnare grazie alla vendita di articoli di seconda mano, che costituisce per molti un’ulteriore fonte di reddito. In particolare, per Gen Z (13%) e Millennial (19%) il re-commerce è diventato una fonte di reddito primaria o secondaria (30% per entrambi).
Altra motivazione è rappresentata dalla ricerca di stili di consumo più sostenibili: se pensiamo che solo nel settore dell’abbigliamento ogni anno vengono scartati o distrutti prodotti invenduti o in eccesso per un valore complessivo di miliardi di dollari, e ne consideriamo l’impatto ambientale (l’industria della moda contribuisce fino al 10% delle emissioni di gas serra a livello mondiale), è facile comprendere il riscontro positivo del re-commerce in termini di sostenibilità.
Forbes Usa rivela che il 62% dei Millennial e Gen Z preferisce acquistare capi prodotti da marchi che integrano una strategia di sostenibilità. Tutti fattori che accelerano la crescita del mercato del re-commerce, che si prevede raggiungerà 289 miliardi di dollari entro il 2027 (+80% rispetto al 2021), crescendo cinque volte più rapidamente del mercato del retail complessivo. Questa tendenza che si sta verificando a livello globale, si sta riflettendo anche nelle abitudini di acquisto dei consumatori italiani: secondo il sondaggio realizzato da Lega Coop e Ipsos, presentato lo scorso maggio, circa 1 italiano su 2 ha acquistato almeno un prodotto usato negli ultimi tre anni.
In un mercato in cui il consumatore tende ad acquistare più spesso su canali digitali piuttosto che in negozi fisici, la maggior parte degli acquisti avviene tramite marketplace di re-commerce online (61%). Basti pensare che gli utenti trascorrono 27 minuti al giorno su queste piattaforme, poco meno del tempo che si trascorre su social come Facebook, Instagram o Snapchat (circa 30 minuti al giorno).
Come riportato da Forbes Usa, si stima che le piattaforme di rivendita stiano progredendo a un tasso di crescita annuale composto superiore al 34%. Il volume di rivendita di articoli di moda online negli Stati Uniti raddoppierà tra il 2022 e il 2026, quando raggiungerà i 23,92 miliardi di dollari. In quest’ottica “è importante per le aziende del mondo retail dotarsi di applicazioni e piattaforme digitali modulari e flessibili ispirati ai principi del composable business – afferma Francesco Soncini Sessa, head of strategic alliances di Mia-Platform, tech company italiana che accelera la creazione di piattaforme e applicazioni digitali – per abilitare rapidamente nuovi servizi e modelli di business e per costruire un customer journey semplice, personalizzato e facilmente evolvibile. L’utilizzo di soluzioni componibili nel settore retail è diventato fondamentale per le aziende che vogliono rimanere competitive e soddisfare le esigenze in continua evoluzione dei propri clienti. Grazie a un’architettura modulare, i player del settore possono ottenere una maggiore agilità operativa, personalizzazione dell’esperienza cliente, capacità di innovazione continua ed efficienza operativa, aggiungendo, sostituendo o integrando facilmente nuove funzionalità e applicazioni senza dover riscrivere l'intera infrastruttura”.