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Giorgio Maggioni di WebMarketingMedia: scarseggiano gli investimenti nel digitale, mentre è di scena lo showrooming

Secondo quanto emerge dai recenti dati diffusi dall’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, gli investimenti dei principali retailer italiani sono fermi all’1% del fatturato, per quanto concerne il digitale e nonostante l’innegabile interesse di tale ambito. Del resto, la logica del punto vendita sta cambiando.

Nel 2019, secondo fonti inglesi, lo showrooming è in evoluzione: si prova l’abito in negozio, lo si fotografa e lo si cerca su Internet. Ormai, il punto vendita è una piattaforma relazionale, come si legge nel sempre attuale libro “Store Management”, a cura di Sandro Castaldo e Chiara Mauri. Ciò che occorre fare, per analizzare la situazione presente, è utilizzare i vecchi strumenti oppure crearne di nuovi?

Lo abbiamo chiesto a Giorgio Maggioni di WebMarketingMedia, comunicatore, esperto e sviluppatore di modelli di business on line, specializzato nelle PMI, nonché docente di Web Marketing per l’Internazionalizzazione d’Impresa.

Si possono ancora utilizzare vecchi strumenti per nuovi scenari? Le 4 P funzionano ancora?

“Erano gli inizi degli anni Sessanta quando il professor Jerome McCarthy si presentò agli occhi del mondo con la teoria delle 4 P del marketing (Product, Price, Place, Promotion). Contrariamente a quanto si crede, il noto modello delle 4 P del marketing mix non è stato introdotto da Philip Kotler, anche se a lui si deve la gran parte della popolarità e sua diffusione. Le 4 P sono state le regole sulle quali i responsabili marketing delle aziende hanno fondato le proprie azioni per generazioni. Erano, però, gli anni Sessanta. In Italia, si girava con la Fiat 600. Appunto. Ma, ora, sessant’anni anni dopo, queste regole funzionano ancora? Pensateci bene. Fino alla fine del secolo scorso e stiamo parlando di 20 anni fa quasi (anche se sembra ieri), un possibile cliente che cosa sapeva del prodotto che voleva acquistare? Credo poco. Forse, se era particolarmente interessato e il bene desiderato era condiviso con una grande parte di pubblico, ci si poteva informare attraverso riviste o fiere. Ma tutto finiva lì”.

Che cosa avviene, oggi?

“Quante informazioni abbiamo a disposizione, oggi, prima di procedere all’acquisto? Tante. Forse, troppe. Sarà capitato anche a voi. Prima di andare in un nuovo ristorante, chi non ha l’abitudine di consultare le recensioni? Se devo acquistare una nuova auto, perché non compro più Quattroruote, ma mi informo in rete attraverso le opinioni degli utenti che hanno già fatto quell’acquisto? Certo, lo sanno bene quelli che fanno il mio mestiere: le informazioni on line, le temute recensioni, possono essere stimolate, guidate. A volte, risultano false. Ma il più delle volte no. Se acquisto un bene, qualunque sia il suo prezzo, mi aspetto che ciò che ho acquistato soddisfi le mie necessità. E, quando questo accade, non ho lo stimolo di andare on line e parlarne bene. È scontato che l’oggetto o il servizio acquistato soddisfino la spesa. Ma se questo non succede, allora si instaura nel compratore, che a quel punto si sente truffato o quantomeno preso per i fondelli, un sentimento di rivincita. E allora via ai draghi da tastiera che, dato che sappiamo che scrivere è più facile che parlare, danno sfogo alle loro seppur giustificate critiche”.

È così che nascono le recensioni negative?

“Le recensioni negative sono un fiume in piena, uno tsunami, che non si può fermare. L’unica cosa che si può fare è cercare di arginare il fenomeno. Ecco allora che la P di Place (punto vendita o punto distribuzione), del grande Jerome è diventato uno spazio infinito e difficilmente controllabile. L’intera rete può parlare bene o male di ogni singolo prodotto in uno spazio infinito di forum, blog, siti. Quindi, è chiaro che diventa indispensabile una figura che, fino a qualche anno fa, era inesistente: il gestore delle unità di crisi on line. Sì, avete capito bene. Potrebbe sembrare eccessivo, certo, ma parlare male di un prodotto potrebbe decretarne prematuramente un pensionamento, arrivando fino a trascinare nella voragine l’intera azienda che produce quel bene o servizio. La rete è piena di queste esperienze. Ma cosa fa un gestore dell’unità di crisi? Innanzitutto, analizza, e tiene sotto osservazione la popolarità e il grado di soddisfazione che c’è dietro ad un brand. E cerca di capire come interagire con le persone che parlano di noi. Credo che sia le recensioni positive quasi sempre stimolate e sia quelle negative, se ben gestite, ricoprono un importante ruolo di megafono per la popolarità delle aziende. Ma, attenzione, il ruolo di un professionista che conosce equilibri, dinamiche e regole della rete è oggi quanto mai indispensabile.

Fino agli anni Novanta, era abitudine dire “bene o male, purché se ne parli”...

“Appunto, negli anni Novanta. Quasi trent’anni fa. A quell’epoca, si andava in ferie con la Fiat Ritmo”.

       
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