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Osservatorio Fedeltà: in Italia, crescono i programmi loyalty, ma occorre più personalizzazione
Dal recente white paper “La fidelizzazione in Italia tra programmi fedeltà e personalizzazione della customer experience”, realizzato dall’Osservatorio Fedeltà dell’Università di Parma, emerge che il legame tra dati, valore e fedeltà del cliente è un vero e proprio circolo virtuoso.
Di fatto, è grazie ai dati relativi ai clienti che le aziende non soltanto individuano il valore generato dai clienti fedeli, ma, allo stesso tempo, sono in grado di dedicare risorse ad hoc alla retention. Tutto ciò produce una quantità e una qualità superiore di dati tramite i quali le strategie di retention possono essere personalizzate e, quindi, rese più efficaci, generando maggior valore sia per l’azienda che per i clienti.
Il crescente processo di Digital Transformation abbinato ai nuovi comportamenti dei consumatori ha ampliato il numero di touchpoint in cui le aziende e i clienti si incontrano generando nuovi dati. La ricchezza informativa che ne deriva abilita una nuova visione del customer journey, certamente sia più ricca che più complessa rispetto al passato e che offre Insights sui quali le aziende possono lavorare per trasformare “semplici” programmi di loyalty in vere strategie di customer experience. D’altronde, si è sempre più immersi in uno scenario in cui “data is the new oil”, nel senso che i dati, sempre più articolati e dettagliati, rappresentano un asset di crescente crucialità per lo sviluppo delle strategie aziendali rivolte al cliente.
Passando ai dati percentuali rilevati dall’Osservatorio Fedeltà, si nota che il 53% delle aziende italiane ha attivato un programma fedeltà: in particolare, ciò risulta di più nel B-to-C (60%) e molto meno (33%) nel B-to-B. Il 90% dei programmi loyalty comunica con i clienti per via digitale e il 39% dei programmi B-to-C ricorre anche alla comunicazione cartacea, molto più diffusa nel B-to-B (69%). Il 54% dei programmi loyalty è supportato o, addirittura, consiste esclusivamente in un’App dedicata.
Il 56% propone un catalogo premi, strumento di loyalty tradizionalmente italiano, ugualmente diffuso tra B-to-B e B-to-C. Il riconoscimento del cliente con la classica plastic card è fatto dal 70% dei programmi B-to-C e soltanto dal 15% di quelli B-to-B. Il 76% delle aziende esaminate in occasione del report è solito misurare l’efficacia delle strategie di loyalty: rispetto a qualche anno fa, quando lo faceva circa il 50% delle aziende, si tratta di un dato sensibilmente superiore.
A misurare abitualmente i risultati dei propri programmi loyalty, soprattutto, sono le aziende operanti nel settore retail e quelle con un numero di dipendenti superiore a 1.000. Il tasso medio di attività dei programmi loyalty italiani è il 40%, in linea con quanto accade negli altri Paesi, ma la situazione varia molto tra imprese e tra settori, tanto che emerge anche un 25% di aziende che annovera un tasso di attività superiore al 70%.
In Italia, nell’ultimo anno, sono state attive circa 22 milioni di carte fedeltà nei canali supermercati e ipermercati e, per quanto riguarda la GDO, l’analisi evidenzia una copertura media del fatturato del 79,1% a fronte di un best in class che registra il 96% e di un fanalino di coda che si attesta al 30%. Come dettagliatamente evidenziato nel white paper, nel nostro Paese, la cultura della loyalty ha compiuto dei progressi, malgrado una stagnazione degli investimenti in fidelizzazione che restano, mediamente, ancorati all’1% del fatturato.
Più del 70% delle aziende condivide regolarmente al proprio interno i risultati del programma fedeltà e lo fa regolarmente: il 19% settimanalmente, il 40% mensilmente e il 22% trimestralmente. In merito a dove sono arrivate le aziende italiane sul versante della trasformazione dei dati in Insights, l’Osservatorio sottolinea che il 53% delle aziende si basa sulla lettura dei report riferiti a quanto successo in passato per prendere decisioni sul futuro, il 35% non ha accesso ad analytics, appena l’11% utilizza predictive analytics e modelli di propensity per assegnare score ai singoli clienti e, infine, l’1% utilizza strumenti di lookalike recommendation.
Quindi, dopo gli indubbi progressi registrati nel corso degli ultimi anni e che evidenziano, da parte delle imprese, la valorizzazione teorico e operativa del concetto di loyalty, a farsi strada sul versante delle priorità rivolte ai programmi di fidelizzazione è l’ampliamento del ricorso agli Insights e, con esso, l’adozione di appropriati modelli predittivi in grado di sintonizzare le strategie loyalty con le dinamiche evolutive della customer experience.
Marco Mancinelli