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Adolfo Suarez di Lombardini22: il format del centro commerciale evolve e diventa fluido

Player di primo piano nella progettazione nel mondo del real estate, Lombardini22 nasce nel 2007 grazie all’iniziativa di sei professionisti appartenenti ad ambiti formativi e lavorativi differenti, accomunati dalla stessa visione del lavoro e dagli stessi valori di attenzione per il cliente.

Nel portafoglio dello studio milanese e soltanto nel mondo retail, si distinguono molteplici realizzazioni architettoniche e ingegneristiche di successo per conto di Ceetrus Italy (Fanocenter, Porte dell’Adidge, Porte dello Jonio), Unicoop Firenze (circa una decina di riqualificazioni), Valmontone Outlet, Igd, Centro Sarca, Bicocca Village e via dicendo.

Lo scorso mese di Aprile, in occasione del convegno “Deep Renovation” promosso dal Consiglio Nazionale dei Centri Commerciali, il Centro Commerciale Porte dello Jonio di Taranto, di Ceetrus Italy e progettato da L22 Retail, si è aggiudicato un importante premio per il restyling e l’ampliamento.

Ci siamo confrontati con Adolfo Suarez, Architetto e Socio Fondatore di Lombardini22, sui criteri, le evoluzioni e il futuro degli shopping center italiani.

In quale direzione si sta muovendo il settore?

Quando è cominciata la rincorsa dell’e-commerce e quando si sono avuti i primi sentori della crisi degli shopping center negli Stati Uniti, la reazione è stata di grande timore, anche perché l’investimento immobiliare non ha più garantito rendimenti sicuri, elevati e rapidi. Questo ha reso gli operatori più consapevoli della necessità di fare evolvere le formule di offerta, a cominciare dalla proposta ristorativa, come elemento per attrarre un più vasto numero di consumatori. Il settore è diventato dinamico, accorciando i tempi che intercorrono fra gli interventi di ristrutturazione e centrando l’attenzione sul bisogno di valorizzazione degli asset in modo continuativo.

Quali strategie adottano gli sviluppatori per far fronte a uno scenario sempre più competitivo?

La strategia, come tale, può essere difensiva o offensiva. Nel primo caso si tende a investire affinché l’asset non perda valore, mentre nel secondo si interviene in modo più profondo, cambiando il mix merceologico, per adeguarlo, in modo dinamico, alle richieste del consumatore sia con ampliamenti, sia con una revisione del tenant mix. In questo processo bisogna sempre tenere conto delle preferenze e dei gusti locali, visto che le regioni e le province italiane sono molto differenti le une dalle altre nei propri paradigmi di scelta. In alcuni contesti, inoltre, rimangono ampi spazi da riempire. Penso, per esempio, a Milano, che è diventata un grande centro di shopping, ma che non ha ancora molti grandi centri commerciali di respiro regionale, il che giustifica l’attuale compresenza di grandi progetti come Westfield, Cascina Merlata, Milanord2. Se, invece, ci spostiamo in contesti provinciali, o in città più piccole, ci rendiamo conto che esiste talvolta una carenza di medie superfici, carenza che lo shopping center può colmare, attraverso ampliamenti significativi e tali da mettere il centro commerciale in posizione di leadership nel proprio territorio. Mentre si guarda quasi sempre alle location di tipo prime, è quando si fanno analisi serie che si scopre che molti complessi distributivi di minore ampiezza hanno, nel proprio bacino, ottime redditività e alte frequenze di visita, tali da richiamare l’interesse degli investitori.

In effetti, in Italia, esistono molti centri commerciali piccoli o piccolissimi. Sono ancora attuali?

Anche in questo caso, devo dire che, per funzionare, la macchina va continuamente alimentata e adeguata alle esigenze della clientela. Se alla fine degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta, bastava aggregare un po’ di negozi intorno a un ipermercato per ottenere buoni risultati, oggi, l’attenzione per l’estetica e la qualità della vita è aumentata. Anche ai piccoli shopping center è richiesta una coerenza architettonica, il rispetto di determinati standard ambientali, una riduzione della predominanza del magnete alimentare, per lasciare spazio a una proposta più articolata, in grado di creare una vera esperienza di acquisto, semplice e gradevole, a cominciare dalla facilità di accesso per i veicoli privati. E, infatti, i nuovi progetti, anche se di ridotte dimensioni, hanno superato da tempo il grossolano concetto di “scatola per vendere”. Chi, oggi, non si pone in quest’ottica è destinato a uscire dal mercato.

Come si svolge il vostro lavoro progettuale?

Da un certo punto di vista, siamo architetti, ma questo è solo uno degli elementi. Dunque, nel nostro lavoro dobbiamo considerare tutti quegli aspetti che possono contribuire al successo di un progetto e creare un team di competenze. Gli sviluppatori sono altamente professionali, per cui hanno sempre una struttura di consulenza che analizza le variabili in gioco e mette a nostra disposizione i dati opportuni. Ovviamente, se mancano analisi, per esempio, sulla viabilità e sulla concorrenza, segnaliamo la cosa e richiediamo uno studio. Tuttavia, oggi, quello che non manca sono i dati e anche noi stiamo implementando, al nostro interno, strutture informatiche che possano aiutare a interpretare una serie di informazioni già disponibili e, di solito, di buona qualità. Sociologia, semiotica, geografia umana, economia rientrano a pieno titolo nel lavoro di un architetto, che diventa il coordinatore e l’interprete di una serie di esigenze che, se soddisfatte in modo opportuno, contribuiscono alla riuscita del progetto.

Non trova che il tenant mix di molti centri commerciali sia eccessivamente ripetitivo?

Da un lato, ci deve sempre essere uno zoccolo “mass market”, con formule commerciali che funzionano e che, per questo, permettono di assicurare una buona affluenza. Tuttavia, oggi, questi stessi brand entrano in competizione con un numero crescente di insegne specializzate. È un fenomeno che si avverte nelle grandi vie commerciali e che si riverbera anche nella definizione del tenant mix dei centri commerciali. Dunque, anche il centro commerciale sta andando verso una segmentazione sempre più accurata, per venire incontro alla domanda di target mirati. Per capire meglio, basta pensare all’ipersegmentazione che caratterizza, per esempio, il mondo dello sport. Dall’altro lato, anche i mass merchandiser stanno inserendo articoli sempre più specialistici, per captare una domanda orientata alla personalizzazione.

Secondo lei, in che modo il centro commerciale può competere con il centro storico?

In questi anni, c’è stata una rinascita dei centri storici un po’ in tutta Europa. Questo ambiente funziona molto bene dal punto di vista commerciale e la pedonalizzazione, tanto temuta, ha dato, invece, un forte contributo alla selezione di distributori all’altezza del compito. Ma va detto che non tutti hanno il tempo, la voglia o la possibilità di frequentare i centri storici: dunque, in molti contesti, provinciali e periferici, il centro commerciale è un potente aggregatore sociale e civile, oltre che un luogo di shopping. Sicuramente, alla luce dell’evoluzione delle grandi zone commerciali urbane, lo shopping center deve diventare un luogo di vita e incorporare molteplici fulcri di interesse, come il divertimento, lo sport e la ristorazione. Anzi, deve andare oltre, con una solida offerta di servizi, come centri medici e dentistici, laboratori di analisi e zone attrezzate per il gioco dei bambini.

       
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