Lo scorso settembre è entrato in vigore il regolamento Data Act dell’Unione Europea, una normativa destinata a ridisegnare profondamente gli equilibri della raccolta, condivisione e utilizzo dei dati aziendali. Le catene di distribuzione fisica e digitale dovranno adattarsi a una nuova era data-driven, dove i dati diventano materie prime strategiche. Per analizzare l’impatto di questa rivoluzione sul settore del retail abbiamo intervistato Aleš Popovič, docente del Dipartimento di Information Systems, Supply Chain & Decision Making e a capo del Master in Business Analytics della Neoma Business School.
Il 12 settembre 2025 è entrato in vigore il Data Act dell’Unione Europea. Perché viene definito un cambio di paradigma per l’economia dei dati?
Perché non si limita a integrare il Gdpr: lo supera. Il Data Act ridefinisce in profondità le regole di accesso, condivisione e sovranità dei dati, trasferendo nuovi diritti e possibilità a utenti, consumatori e imprese. In pratica, cambia chi controlla i dati e come questi possono essere utilizzati. Per il retail, dalla Gdo all’e-commerce, significa ripensare supply chain, contratti e modelli di business.
Uno dei punti chiave del Data Act è il riequilibrio del potere sui dati. Cosa cambia concretamente per il settore retail?
Finora i dati generati da dispositivi e piattaforme erano quasi sempre nelle mani dei produttori e dei grandi fornitori. Il Data Act ribalta questo meccanismo, attribuendo la titolarità a chi i dati li genera: utenti, aziende e partner della catena del valore. Questo porta a una vera democratizzazione dell’accesso ai dati.

Può fare qualche esempio di impatto concreto?
Certamente. Per quanto riguarda la supply chain, i grandi distributori possono finalmente accedere ai dati dei prodotti e dei dispositivi connessi, superando i tradizionali silos informativi. Questo permette, ad esempio nella tracciabilità alimentare, di condividere informazioni con enti di certificazione o partner logistici, facilitando verifiche indipendenti sulla qualità e sulla sostenibilità. Nel fashion retail, invece, i dati raccolti lungo l’intero ciclo di vita di un capo possono essere messi a disposizione di startup, cooperative o operatori della logistica inversa, abilitando modelli circolari come rivendita e riciclo intelligente. Anche l’e-commerce B2B beneficia del nuovo quadro normativo: poiché il Data Act vieta clausole che limitano l’uso o la condivisione dei dati, i retailer possono finalmente accedere a informazioni prima opache – dalle performance dei prodotti ai comportamenti d’acquisto – riducendo le asimmetrie informative e riequilibrando il rapporto con i grandi marketplace.
Quali sono le principali sfide organizzative introdotte dalla normativa?
Il regolamento richiede un ripensamento profondo delle architetture tecniche e dei processi. I retailer devono garantire accesso ai dati tramite interfacce e Api standardizzate, ridefinire ruoli e responsabilità tra IT, legale, compliance e logistica, e aggiornare i contratti. Inoltre, il Data Act riguarda anche dati non personali, come quelli generati da magazzini, piattaforme e-commerce o sistemi IoT, ampliando la responsabilità delle aziende.
Che opportunità offre il Data Act alle piccole e medie imprese italiane?
È un’occasione senza precedenti. Per anni gran parte dei dati è rimasta nelle mani di pochi grandi provider. Ora le Pmi possono recuperare valore da flussi informativi prima inaccessibili, collaborare più facilmente e crescere riducendo barriere tecnologiche e contrattuali. La chiave è la “localizzazione senza isolamento”: architetture digitali flessibili, resilienti e globali, ma anche radicate localmente, come sottolinea Equinix.
Il Data Act è più un vincolo normativo o un’opportunità competitiva?
Entrambi, ma il potenziale innovativo è enorme. L’aumento di circolazione, di interoperabilità e di portabilità dei dati consente di sviluppare prodotti più personalizzati, migliorare la competitività e stimolare nuove forme di innovazione. Le Pmi possono costruire servizi e business model prima impossibili perché mancavano i dati necessari.
In che modo il Data Act sta modificando la dinamica competitiva all’interno del mercato retail?
Sta introducendo un livello di concorrenza più aperto e trasparente. Il fatto che i dati diventino accessibili a più attori riduce il vantaggio competitivo legato alla loro esclusiva detenzione. Le aziende devono ora competere sulla capacità di analizzare, integrare e trasformare i dati in valore, piuttosto che sulla loro mera disponibilità. Questo favorisce l’ingresso di nuovi player, accelera l’innovazione e spinge i retailer a adottare modelli di business più flessibili e orientati al consumatore.