Nel retail moderno i criteri Esg stanno passando da obbligo regolatorio a leva strategica. Dalla gestione responsabile dei fornitori alla tracciabilità dei materiali, fino alla misurazione dell’impatto ambientale, la sostenibilità diventa un vantaggio competitivo quando supportata da tecnologie capaci di trasformare i dati in decisioni. Con Sara Picco, account director di Jaggaer, società specializzata nella fornitura di soluzioni per la gestione del procurement e della supply chain, esploriamo come le piattaforme digitali possano guidare questo cambiamento nel settore.
Negli ultimi anni si parla moltissimo di Esg e sostenibilità. Ma cosa significano davvero questi concetti per chi opera nel mondo del retail?
Esg e sostenibilità non sono più solo “buone intenzioni”. Per il retail e per le aziende di largo consumo sono diventati veri fattori strategici, che incidono direttamente su brand, vendite e accesso ai capitali. I consumatori oggi premiano i marchi che dimostrano con fatti concreti il proprio impegno ambientale e sociale. Non è un caso se i prodotti con riferimento ai principi Esg registrano performance migliori sul mercato: parliamo di tassi di crescita più alti e disponibilità a pagare un premium price in molte categorie. Questo si traduce in alcune priorità molto chiare: garantire pratiche di lavoro eque lungo la supply chain, gestire in modo responsabile i dati dei clienti e ridurre l’impatto ambientale in aree come packaging e logistica. La sostenibilità oggi è una componente strutturale del modello di business.
Quali sono le aree Esg più “calde” per retailer e produttori in questo momento?
Direi tre in particolare. La prima è il packaging, che è diventato uno dei simboli della sostenibilità percepita dal consumatore. I clienti si aspettano confezioni riciclabili, riutilizzabili e trasparenti nelle informazioni ambientali. Il secondo ambito è la tracciabilità delle materie prime, soprattutto nei settori food, beverage e cura della persona. Olio di palma, cacao, cotone, gomma: sono categorie sotto forte attenzione normativa e reputazionale. Infine, c’è la catena di fornitura: i retailer sono ormai chiamati a rispondere non solo delle proprie azioni, ma anche di quelle dei fornitori. Significa garantire condizioni di lavoro eque, evitare deforestazione e pratiche scorrette, e poterlo dimostrare con dati solidi.

A proposito di normative: quanto pesano nella definizione delle strategie Esg di un retailer?
Moltissimo. Non serve entrare nei dettagli tecnici, ma è importante capire che l’evoluzione normativa è una delle principali forze che stanno accelerando questa trasformazione. L’Europa, ad esempio, ha introdotto regole più stringenti sui temi Esg e sulla gestione degli imballaggi, oltre a direttive molto severe sulla tracciabilità delle materie prime e la due diligence nelle supply chain. Regole che hanno due effetti: da un lato impongono nuovi obblighi di trasparenza e responsabilità, dall’altro spingono le aziende più lungimiranti a trasformare la compliance in strategia. Chi si attrezza per tempo non solo evita sanzioni e danni reputazionali, ma si posiziona meglio sul mercato.
Cosa significa concretamente “trasformare la compliance in strategia” per un’azienda retail?
Significa passare da un approccio reattivo – devo adeguarmi a una norma – a uno proattivo: uso i dati Esg per creare valore. Ad esempio: se investo in un packaging più sostenibile, non sto solo rispettando una regola, ma sto anche migliorando la percezione del brand e riducendo i costi futuri legati alle tariffe Epr. Se costruisco una supply chain tracciabile e trasparente, con il supporto della tecnologia miglioro la mia reputazione e rafforzo i rapporti con investitori e clienti. In sintesi: quello che nasce come obbligo può diventare leva competitiva, se affrontato con la giusta strategia.
A proposito di tecnologia, qual è oggi il suo ruolo in tutto questo?
Centrale. Le normative e le aspettative dei consumatori stanno diventando più complesse, e gestire queste informazioni manualmente è impossibile. Oggi parliamo di tecnologie che aiutano a tracciare la provenienza delle materie prime, a gestire dati di packaging e a certificare la conformità ambientale dei prodotti. Strumenti come Jaggaer One permettono di integrare i dati Esg nei processi di procurement e supply chain, rendendo tutto più trasparente e misurabile. È un cambio di paradigma: il rischio Esg non viene più “subìto”, ma gestito in modo proattivo, grazie a dati affidabili e analisi predittive. E se sembra costoso, bisogna tenere presente che può diventare molto più costoso non agire.
Quali saranno le prossime grandi direttrici Esg nel retail?
Direi tre parole chiave: tracciabilità, trasparenza e fiducia. Nei prossimi anni vedremo crescere ancora le aspettative dei clienti – e degli enti normativi – sulla capacità delle aziende di dimostrare in modo credibile le proprie affermazioni ambientali. La tracciabilità diventerà standard, non più un plus. La trasparenza – anche attraverso QR code e accesso diretto alle informazioni – sarà una leva per costruire fiducia. E questa fiducia, nel retail, vale quanto e più di uno sconto.
Se dovesse dare un consiglio pratico ai retailer che vogliono essere pronti per il futuro Esg?
Un inizio semplice ma strategico: mappare i rischi Esg per categorie merceologiche, puntare su packaging e materie prime come leve prioritarie, scegliere piattaforme tecnologiche sicure e integrate con infoprovider esterni che facilitino la raccolta e la gestione dei dati, trasformare la compliance in un elemento identitario del brand. Le aziende che faranno questo passo non saranno solo “a norma”, ma saranno più resilienti, più competitive e più credibili.